Meglio di Paolo Poli non ce n'è. Attore raffinato e inventivo, ha creato un nuovo genere teatrale, uno stile personale, sempre controtendenza e fare tendenza (aaah che brutta parola!). E senza mai tirarsi indietro. Dallo scontro e dalla provocazione al lavoro vero, quello di stare in scena dove lo si chiama. Ecco perché Paolo Poli l'avevamo incontrato per Blue e ora per Animals, perché lui è sempre lui, ovunque lo si metta. Non ha paure o vergogne, non rischia di essere manomesso da quello che lo circonda. Vince. Con eleganza.
Ho mescolato a questi suoi racconti, la sciatta letteratura delle canzonette. Però la canzonetta ha una forza di memoria fortissima. Persino Proust quando va in giro con la sua macchina con i vetri chiusi, perchè soffriva di allergie, e andava con il suo autista Alfredo a vedere le cattedrali, prima che fossero distrutte, come si minacciava, perché si voleva modernizzare la Francia,.. invece lui (Proust), d’accordo con Ruskin, ne voleva la conservazione, e ricorda come entrando in questa bellissima cattedrale, alcuni suoi compagni cantavano “en revenand de la révue” che è una canzonaccia e lui si è scandalizzato, ma loro cantavano una canzone che gli ricordava qualcosa.
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Tutti hanno la canzone del primo amore: “quando sento questa piango, perché mi ricordo quella volta che si ballava...
Lei di recente è comparso in televisione, alla trasmissione di Fazio e questo l’ha fatta riscoprire anche a generazioni nuove e meno attente, ai giovani.
Ma quali giovani? Ci sono anche i giovani imbecilli. No ma che vuoi, un’intervista così... ma non vengono mica a teatro, quelli che stanno davanti alla televisione la sera dopo si rimettono lì e pigian nel bottone, se viene fuori la Raffaella Carrà, bene, se viene fuori un’altra è la stessa. Quello che viene a teatro è un pubblico attivo, che esce, che produce, che consuma, invece il pubblico familiare no.
Il suo rapporto con la televisione, da attore?
Quando ero giovane, in teatro, in due mesi l’avevo finita la tournée. Perché mi davano 3 giorni Bologna, 3 giorni Firenze, 3 giorni Venezia, eh. Mentre adesso fo qui un mese a Roma, un mese a Milano, e poi io accetto tutto, qualsiasi teatrino di provincia... Mi dedico al lavoro che mi piace. Adesso, molti fanno il teatro quando non hanno la televisione o quando il film è andato a rotoli, per rimediare. Invece per me no, è il mio mestiere, a me interessa il lavoro dal vivo, delle macchine non me ne frega proprio nulla. Anche la Duse aveva paura delle macchine. L’unico film che ha fatto, Cenere, era sempre di spalle, si nascondeva con le mani.
Una cosa sempre presente nei suoi spettacoli è l’ironia.
Da noi Arlecchino si è sempre confessato burlando. Non abbiamo avuto il grande secolo di letteratura come hanno avuto gli spagnoli, i francesi e gli inglesi e anche i tedeschi col loro Goethe, abbiamo avuto poesia e i comici, Petrolini, Mussolini, Fellini...
L’ironia è importante nel teatro, ma anche nella vita...
Sai, perché ogni tanto c’è dei momenti che tiri i remi in barca. La donna, che sembrava un po’ evoluta, ecco che torna a far la velina e smove il culo e basta, che vergogna! Per cui allora in scena, mi vanno meglio due mostri, uno alto alto, uno basso basso, con le gambe storte che fa l’olandesina, meglio la gente si diverte di più... Un periodo così vuole forti sapori come questi, che le mezze tinte non le pigliano... Mi vien sempre in mente il cinema di Greta Garbo e di Charlot, che la pellicola non c’aveva il grigio, c’aveva il bianco e il nero, dunque le attrici erano infarinate come pesci da friggere e gli occhi neri come due figlie di vacca, però quando alzavano la palpebra, c’era un’emozione...
Se sei bellino, gentile, hai tutte le doti dei mediocri. Charlot ha fatto fortuna con lo sketch dell’ubriaco che non trova il buco della chiave: con la perdita della dignità. In un mondo pieno di gente falsa, di pubbliche virtù e di vizi privati, tutti stanno nella difesa della famiglia e poi sono a letto con la quinta moglie o con le figliole di quarto letto.”
Non è fumetto, certo... ma volete non leggerlo uno così?
(la foto @Mantura, è tratta dal libro "Siamo tutte delle gran bugiarde" Giulio Perrone Editore, a cura di Giovanni Pannacci)